Nel 2021 le esportazioni della provincia di Varese hanno raggiunto il valore di 10,8 miliardi di euro, in aumento del +18,5% rispetto al 2020, sostanzialmente in linea col trend positivo nazionale. Allo stesso tempo, le importazioni sono ammontate a 8,1 miliardi, con un balzo in avanti del +30%. Da qui il calo del saldo commerciale, che rimane positivo per 2,7 miliardi, in diminuzione del -6,4% rispetto al dato del 2020. Questi i principali risultati dell’ultima indagine sul commercio estero delle imprese varesine svolta dall’Ufficio Studi di Univa che avverte: quello che emerge è “un quadro di recupero del nostro commercio estero, ma con incognite a causa del caro-prezzi e delle tensioni geopolitiche internazionali, i cui effetti si vedranno nei prossimi trimestri”.
COMMENTO
“Il 2021 è stato l’anno della ripresa: i dati sull’export con cui abbiamo chiuso gli ultimi mesi dell’anno scorso sono la conferma dei nostri punti di forza, della nostra abilità dimostrata nel riposizionamento sui mercati esteri e nelle filiere produttive, sia a livello nazionale sia internazionale. La crescita che siamo riusciti a mettere a segno è la prova della capacità del sistema manifatturiero di fare da traino economico e sociale del territorio. I dati con cui si è chiuso il 2021 non sono in grado, tuttavia, di descrivere pienamente la situazione che si trovano ad affrontare al momento le imprese della provincia di Varese.
A mettere a dura prova il nostro sistema manifatturiero sono, infatti, le sempre più crescenti tensioni geopolitiche; la guerra in Ucraina causata dall’invasione russa; le conseguenti fibrillazioni registrate sui mercati energetici, con prezzi mai visti prima d’ora; la mancanza di materie prime.
Come Univa lo ribadiamo ancora una volta: produrre in molti settori, già oggi, con gli attuali costi produttivi in costante aumento, non conviene più. E dunque, ci troviamo di fronte a situazioni di aumento dell’utilizzo della cassa integrazione, alla chiusura di impianti produttivi o persino ad aziende che, pur di non perdere i clienti, lavorano in perdita. Rischiamo di vedere scomparire per sempre pezzi importanti del nostro patrimonio industriale. È una crisi senza precedenti.
Non tutti i nostri competitor, a livello europeo, si trovano, però, nella nostra situazione. Germania e Francia, ad esempio, possono contare su politiche energetiche più efficaci rispetto a quella italiana e si trovano, perciò, a pagare letteralmente un prezzo minore per questa crisi. I loro Sistemi Paese stanno difendendo le capacità produttive delle imprese meglio di quanto non sia stato fatto finora da noi. Ed è anche per questo motivo che il made in Italy rischia di perdere competitività sui mercati esteri.
L’appello a politica ed istituzioni è: non lasciateci soli a fronteggiare le sfide di questa crisi. Servono subito ulteriori interventi di emergenza, a rinforzo dei provvedimenti già approntati dal Governo, ma del tutto insufficienti. Un tetto al prezzo del gas, agevolazioni fiscali e parafiscali sulle bollette adottate al massimo consentito dalla disciplina europea e il taglio delle imposte sui carburanti: ecco cosa serve. Ma allo stesso tempo dobbiamo dotarci di ciò che da anni manca al Paese: una seria politica industriale energetica di lungo periodo che riduca la nostra dipendenza dal gas russo”.