Questo il metodo mafioso viene usato per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui cantieri o con gli operai che vi lavorano.
Sono questi i comportamenti tenuti per respingere un tentativo di estorsione, per minacciare «un fornitore che sollecita il pagamento delle prestazioni» e punire «un operaio che aveva appiccato l’incendio in un magazzino per protesta contro la mancata apertura di una pratica infortunistica».
Sono quindici gli arresti eseguiti questa mattina dalla Guardia di Finanza di Milano, Varese e Verona in una inchiesta della pm Bruna Albertini per la presenza dell ‘ndrangheta negli appalti per i cantieri di manutenzione di Rete ferroviaria italiana, che è parte lesa.
3 le persone arrestate, tutte residenti a Gemonio. Una quarta, sempre di Gemonio è agli arresti domiciliari.
Una quinta persone di Albizzate è indagata.
Per la Dda Milano c’era un piano di spartizione dei cantieri in tutta Italia.
E fanno anche «accrescere» il loro “potere” attraverso il «reclutamento dalla “Calabria Saudita”», come si legge in un’intercettazione, «della pressoché totale “forza lavoro” necessaria ad eseguire i lavori di cui alle commesse».
Così in un’intercettazione: «Gli ….. e i ….. danno da lavorare ed in questo modo… anziché essere contenti…ci invidiano e se ci potessero mangiare ci mangerebbero … ci ucciderebbero Mauriziè …ci ammazzerebbero.
Nelle imputazioni dei pm, infatti, si parla di «gruppi imprenditoriali» che «gestiscono in regime di sostanziale monopolio l’aggiudicazione delle commesse per i lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana direttamente da Rfi spa, a mezzo delle loro società appaltanti.
Queste si rapportavano, col sistema del «distacco della manodopera e nolo a freddo dei mezzi», con il gruppo al centro dell’inchiesta e «con le numerosissime società a loro riconducibili ma fittiziamente intestate a prestanome».
Questi ultimi hanno legami di parentela con le famiglie storiche di ‘ndrangheta ed alle quali assicurano il costante e continuo approvvigionamento dei mezzi di sussistenza perché i loro capi sono in carcere.
Gli operai spostati per lavorare dalle società riconducibili alla ‘ndrangheta in quelle che prendevano gli appalti da Rfi non avevano alcuna competenza professionale e venivano fatti lavorare in condizioni di sfruttamento.
Infine, attraverso «l’abuso di strumenti giuridici astrattamente leciti» sarebbero riusciti a pagare meno tasse e allo stesso tempo avrebbero permesso all’ndrangheta «di infiltrarsi in uno dei settori strategici del Paese», quale il funzionamento della rete ferroviaria.