In un articolo a firma di Luigi Ferrarella, decano dei giornalisti di cronaca giudiziaria del “Corriere della Sera” vengono raccontati alcuni retroscena legati al processo a carico di Stefano Binda.
Denunce, controdenunce, esposti e ricorsi che permettono di comprendere sotto un altro punto di vista quanto è accaduto in questi anni, e che forse spiegano alcune vicissitudine vissute durante il processo.
Il caso Lidia Macchi riaperto, l’avocazione da parte della Procura Generale di Milano, l’arresto di Stefano Binda
Si arriva ad un processo, che in primo grado finisce con una clamorosa condanna all’ergastolo, da più parti contestata in virtù di carte processali che non indicavano prove a favore dell’accusa.
Si va in appello, e dopo che Binda ha passato in carcere tre anni e mezzo della sua vita, i giudici ribaltano il verdetto, chiedendo l’immediata scarcerazione e l’assoluzione per l’uomo.
Ieri sera la Cassazione, con il procuratore generale d’udienza Marco Dall’Olio dichiara addirittura “inammissibile” l’impugnazione della procuratrice generale di Milano Gemma Gualdi, e anche quella della famiglia, parte civile, che chiedeva un Appello-bis, e conferma in via definitiva l’assoluzione.
Decisioni contrapposte scaturite in un ambiente non certo sereno, stando ai racconti del giornalista del Corriere.
Dopo le motivazioni dell’assoluzione in Appello redatte dalla giudice Franca Anelli, i giudici varesini di primo grado Cristina Marzagalli e Orazio Muscato hanno infatti presentato alla Procura Generale di Cassazione un esposto disciplinare contro le colleghe, e Marzagalli ha anche denunciato la relatrice in sede penale alla Procura di Brescia, per le motivazioni «gravemente denigratorie» contenute nella sentenza nelle quali si fa riferimento alle toghe varesine come giudici supini ai pubblici ministeri di turno, iniqui, dolosamente orientati a condannare un innocente e condizionati da trasmissioni tv.
La stessa Anelli, chiamata a chiarire davanti alla Procura Generale di Cassazione ha risposto con una controdenuncia disciplinare a cui ha aggiunto anche un carico, ovvero una lettera che la stessa Anelli aveva scritto, prima della sentenza in appello, al Procuratore Generale di Milano lamentandosi che ci fossero state delle proteste «irrituali» proprio del pg milanese Gemma Gualdi verso ordinanze processuali che la stessa Gualdi non condivideva, reazioni che l’ Anelli definiva «configurabili come vera e propria interferenza».
Al Consiglio di disciplina dell’Ordine degli Avvocati, c’è poi un esposto della giudice Anelli contro Daniele Pizzi per quella frase a commento dell’assoluzione in Appello: «è la 30esima coltellata a Lidia». I pm di Brescia hanno archiviato il risvolto penale.